ISSN 1594-3607

OMBRE .LUCI

RIVISTA CRISTIANA DELLE FAMIGLIE E DEGLI AMICI DI PERSONE HANDICAPPATE E DISADATTATE

In questo numero

L’iniezione di Uscobupt di Mariangela Bertolini

DIALOGO APERTO

Parliamo di lavoro Il collocamento mirato di Tea Cabras Consigli per i colleghi di lavoro Storia di Giorgio e del suo lavoro di Paolo Tardonato

Il film “Le chiavi di casa” EL,

La barca bianca di J. Larsen di Silvia Gusmano

Associazione “Invitati alla festa” di Cyril Donille

Una Casa-famiglia dove la maternità ritorna gioia di Giulia Galeotti

LIBRI

IN COPERTINA: Foto di Barbara Sciascia

Ombre e Luci: organo dell'Associazione Fede e Luce - Redazione, stampa, spedizione di un anno di Ombre e Luci costa 16,00. OFFERTE LIBERE PER SOSTEGNO ORDINARIO E STRAORDINARIO - ISSN 1594-3607

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Trimestrale anno XXII - n. 3 - Luglio-Agosto-Settembre 2004 Spediz. in Abb. Post. art. 2 - comma 20/c legge 662/96 - Filiale di Roma Redazione Ombre e Luci - Via Bessarione 30 - 00165 Roma

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 19/83 del 24 gennaio 1983 Direttore responsabile: Sergio Sciascia

Direzione e Redazione: Mariangela Bertolini - Nicole Schulthes - Natalia Livi - Maria Teresa Mazzarotto - Huberta Pott - don Marco Bove - Cristina Tersigni - Silvia Gusmano.

Redazione e Amministrazione: Via Bessarione, 30 - 00165 Roma - Orario: lunedì - mercoledì - venerdì 9.30-12.30 Tel. e Fax 06/633402 - E-mail: ombre.luci@libero.it

Fotocomposizione e stampa: Stab. Tipolit. Ugo Quintily S.p.A. - Viale Enrico Ortolani, 149/151 - Roma Finito di stampare nel mese di Settembre 2004

L'iniezione di Uscobupt

di Mariangela Bertolini

Dopo la tappa estiva eccoci a riprendere il cammino.

C'è nell'aria e in ciascuno di noi un po’ di malumore come spesso accade quando ci si lascia alle spalle giornate piene di sole, di aria buona, di acqua di mare. Tocca ricominciare: rituffarci nel traffico, riprendere il lavoro; bollette sempre più care da pagare; attese e file di ogni genere...

C'è anche un po’ di delusione in noi: in vacanza avevamo dimenticato la fatica che ci vuole per tollerare certe persone, per sopportare la loro presenza. Ma ancora siamo delusi di noi stessi: ad ogni anno che passa ci sconcertiamo sempre di più di fronte ai nostri limiti, alle nostre insuffi- cienze. Si evidenziano in noi i rimorsi per quanto non abbiamo fatto o fatto male. Speravamo di avere imparato l'accettazione di noi stessi e invece...

All’inizio di ogni ripresa, c'è in tutti più o meno un senso di depressione, di mancanza di fiducia, l’impressione di non farcela. E men- tre annaspiamo alla ricerca di quel qualcosa che ci tiri su, ci si apre davan- ti agli occhi uno scenario poco confortante, per non dire avvilente. Spes- so ci imbattiamo in volti seri, nervosi, sbiaditi, rabbiosi: passanti scortesi, commercianti sgarbati, colleghi lamentosi. Perfino in chiesa, dove ti rifugi alla ricerca di conforto, incroci persone compassate, troppo serie, incapa- ci di manifestare quella fratellanza che ti starebbe a cuore trovare. Non mi riferisco qui agli avvenimenti drammatici che ogni giorno ci lasciano a dir poco sbigottiti e che richiedono una sofferta, silenziosa partecipazione.

E allora? Come fare per risollevare la testa e riprendere il cammino con fiducia e serenità?

Ci vuole una buona iniezione di USCOBUFPT, da farsi ogni mattina al risveglio. Che cos'è? L'ho inventata io, qui seduta davanti ad una distesa di verde e di azzurro. L'ho inventata per me e per tutti voi se vi fidate. USCOBUPT sta per “Un Sano Contagioso Ottimismo e Buon Umore per Tutti”.

Come si prende? Come ogni medicinale, con la volontà di guarire dal disturbo o dalla malattia.

Quando? Al risveglio ma a volte è necessario ripetere l'operazione due o tre volte al giorno:

Ha controindicazioni? Nessuna, in modo assoluto e può essere som- ministrata a tutte le età.

Quali gli effetti?

e In generale riporta il sole e il colore del mare nelle nostre grigie giornate.

e Evita il contagio con chi avviciniamo, spesso persone malate in modo cronico di pessimismo e di scoraggiamento.

e Per osmosi penetra in chi accostiamo: marito, figli, amici, colleghi, sconosciuti...

e Poco per volta ci abitua a considerare con gratitudine tutti i “beni” e le “meraviglie” di cui siamo circondati e nutriti.

e In alcuni pazienti si è riscontrata una tendenza al riso e al sorriso (non quello stereotipato ma largo e luminoso) e una disposizione a cantare.

e Nel giro di pochi giorni distoglie dal ripiegamento su di e sulla propria sorte e facilita l’incontro spontaneo e generoso con gli . altri.

e Dopo un mese si avverte una forza vitale scaturire dal di dentro: la forza di sperare, di tenere alta la testa di fronte ai fallimenti, la forza di godere la vita in pienezza nonostante le avversità.

Vi pare poco? Dimenticavo: è gratuita ma perché abbia veramente effetto bisogna acquistarla dal Buon Dio.

Brava, namma!

...È stata una grande emozione ...Andrea, che te- mevo si offendesse per ciò che avevo detto anche con brutale franchezza si è com- plimentato dicendomi le te- stuali parole: “Sei vera, sin- cera, brava mamma!”...Luca, il figlio “sano”, ha esitato a leggerla e poi ha nascosto l'emozione dietro una battu- ta, ma ha fatto la fotocopia,

Benedetta mi convertito

Benedetta è entrata a casa dopo aver vissuto i suoi primi cinquanta giorni di vita in ospedale. Non tutto è stato risolto e non tutto potrà essere risolto. Ma va benissimo così! Provo a raccontare piuttosto confusamente e

ha

e con il mio permesso, l’ha fatta leggere alla sua (spero per sempre) ragazza! Grazie, carissime, per questo mo- mento di forte unione tra noi quattro che ci sentiamo e sia- mo sempre coinvolti da diffi- coltà di ogni genere!

Ora con grande dolore penso ai miei genitori, a Ro- ma, ben accuditi da una bra- va ragazza ucraina, ma pur sempre “poveri”: mio padre da tre anni trasformato dal- l'Alzheimer in una creatura bisognosa di tutto, fragile più

di un neonato, perché ogni giorno peggiora anche la co- municazione e, se fino all’an- no scorso, mi diceva “bella di papà” ora è inerte, apparen- temente lontano da tutto, ma non dai baci e dalle carezze che gli vengono donate da Ada, sua moglie da 60 anni e da chi lo va a trovare. Nella sua umanità fatta appunto di Ombre e Luci, eravamo abi- tuati a vedere, ingiustamente, in lui più i difetti che i suoi pregi e questo periodo di si- lenzio ci ha fatto capire la

con una serie di emozioni affastellate

una piccola storia di fede e di fedeltà. Benedetta secondo i criteri oggi dominanti non sarebbe dovuta

inamicizia.

nascere. La sua vita è ancor di più dono, speranza, verità, amore. Queste righe sono una “confidenza spirituale”,

Siamo abituati a pensare che le persone deboli, fragili, piccole, malate, abbiano bisogno di avere accanto uomini e donne forti in tutto e per tutto. Ho fatto una scoperta: non è vero. L’esperienza mi ha insegnato, mordendomi la carne, che sono io ad avere bisogno di una persona debole, fragile, piccola, malata. Questa persona ha un volto e una storia. Il suo nome è Benedetta. È mia figlia.

L’ho pronunciato con fierezza, ad alta voce, il nome di mia figlia la sera che

DIE: N Cole (oMf: tolgo,

nostra durezza nel giudicarlo e la difficoltà di comunicare e di dirsi le cose belle e brutte in modo sereno. Anch'io ho capito di averlo sempre giudi- cato, e poco amato, quasi mi spettasse sempre dall'altro la comprensione perché il “mio grande dolore” era diventato

l'Amore di Dio così infinito da perdercisi... Vi benedico perché attraverso il giornale mi aiutate a ricordare che la vita è fatta del quotidiano pic- colo e ripetitivo, ma avvolto dalle braccia amorose di Dio Padre e Madre!...

Silvana

Andiamo a

Venezia

Il 27 giugno 2004 alle 8, sette delle persone che hanno iniziato da poco il cammino

il centro, il paravento per non accorgermi del dolore al- trui cominciando dai limiti dei | miei genitori! È un gran mi- stero sia la sofferenza, sia

Silvana è la mamma autrice della lettera “Carissimi di O.L.” nel numero di Natale 2003.

di Fede e Luce sono nella sta- zione di Feltre in attesa del treno per Venezia, dove si tie- ne l’incontro regionale delle comunità FL. Siamo sereni e

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l’ho battezzata. I medici e le infermiere del reparto di terapia intensiva hanno interrotto il loro lavoro per qualche istante e si sono riuniti intorno all’incubatrice di Benedetta per partecipare a quel singolare rito del Battesimo amministrato dal padre alla figlia. Erano presenti altri sette bambini, anch'essi protetti dal calore dell’incubatrice. Per qualche secondo gli allarmi non sono suonati. Ho tracciato il Segno della Croce sul suo corpo, piccolo e sofferente. Un attimo di silenzio. Poi è scattato il “fischio” a denunciare un problema alle pulsazioni di Giacomo, uno dei piccoli ricoverati. Per il rito di “completamento” del Battesimo, e più precisamente per il rito di accoglienza di una bambina già battezzata, abbiamo scelto il giorno del Lunedì dell’Angelo: nel giorno del “non abbiate paura” l’abbiamo

presentata “ufficialmente” alla comunità cristiana. È il giorno dopo la Risurrezione. È il giorno delle donne, dei più deboli e dei più piccoli. È il giorno della sorpresa che sfocia nella speranza e nella gioia. Nei primi, drammatici, giorni di vita l’unica parte del suo corpo che si poteva accarezzare senza far suonare l’allarme era la manina destra. Ho messo un dito nella. sua mano e lei lo ha stretto con la sua fragile forza. Siamo stati così per ore, in comunione. Felici di stare insieme. La sua fiducia mi ha toccato il cuore. Oserei dire: mi ha convertito.

Le nostre mani unite erano un segno di amore. Mi sono trovato a pregare senza averlo deciso. Ho recitato mille Ave Maria facendo scorrere lentamente il mio polpastrello sulle sue ditine, come se fossero i “grani” della Corona del Rosario. Sono sicuro che Dio, in quei

allegri anche se può sembrare un azzardo metterci in viaggio tre disabili, due amici e due parenti. Ma sappiamo che meno sicurezze ci sono, più si manifesta la certezza di Dio. Alla stazione di Venezia, si avvicina una signora: siete quelli di Feltre? È fatta: ora abbiamo una guida attenta e partecipe, che ci conduce al passo del più lento e incerto, fino alla magnifica chiesa dei Frari. Qui incontriamo gli al-

tri, provenienti da Conselve, Vicenza, Venezia, Abano e dal Garda.

Tra le offerte della messa, c'è la candela di Fede e Luce, che brillerà accanto alle due sull'altare.

Sono benedette delle sciarpine che ognuno si por- terà a casa e le lettere che

Jean Vanier ha scritto per noi. Il silenzio partecipe, qualche occhio lucido, i volti sereni dimostrano quanto reale sia la presenza di Gesù per i nostri fratelli, che spes- so a torto consideriamo solo degli sfortunati. Le Mamme, i papà, gli amici vedono que- sta presenza.

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momenti, teneva il suo dito nell’altra mia mano. La paternità che ho per Benedetta, Lui ce l’ha per me. Benedetta mi ha proposto di scegliere, una volta per tutte, la vita. Ha aperto davanti a me una porta di speranza. E non ha ancora il dono della parola. Mi ha introdotto in un mondo della sofferenza e della piccolezza che ignoravo totalmente. Nell’incontrare ogni giorno i genitori di tanti piccoli sofferenti in quel luogo di coraggio che è un reparto ospedaliero neonatale sono rimasto sconvolto dal grido che prorompe dal loro essere, dal loro viso, dai loro gesti, dalla terribile sete di amicizia che si riconosce nei loro sguardi.

Ho capito subito che Benedetta ed io saremmo avanzati insieme, che lei mi avrebbe aiutato più di quanto potrei mai fare io. Senza dubbio so fare tante

cose “efficaci”, tuttavia mi sono accorto che queste non occupano il primo posto nella lista di ciò che Benedetta si attende da me. Si aspetta l’essenziale: la presenza, la relazione, l’amore.

Il mio ruolo è quello di darle la possibilità di rivelare il proprio dono, la propria capacità di amare nella verità. È straordinario constatare come Benedetta possa comunicare una nuova visione del mondo.

Ricordo di aver contemplato una Natività, credo fiamminga, che mi ha costretto a chinare il capo. I due piccoli più vicini al Bambino Gesù erano un angioletto e un pastorello: tutti e due con i tratti caratteristici della sindrome di down. Erano vicini al Cuore del Signore.

Abbiamo atteso sette anni il dono di un figlio. Evidentemente il Signore ha voluto che ci caricassimo di amore così

Da

Poi il pranzo nel patrona- to dei Frari, la festa, le can- zoni, il gelato, una piccola cerimonia, i saluti.

Sciamano le carrozzine per raggiungere il vaporetto, chi riesce va a piedi: si ri- sponde con un sorriso sicuro agli sguardi curiosi dei pas- santi. Non c’è niente da na- scondere, anzi “Imparate da

noi che siamo miti e umili di cuore”.

Maria Teresa Sasso

Mi date coraggio

... Mi sono di nuovo com- mossa in maniera profonda per le parole della madre polacca (v. O.L. n 86 pag. 4) che ha riassunto così bene il tumulto di emozioni che vivo da 27 anni. Grazie per avere ripetuto che solo Dio può donarci ogni giorno la pa-

zienza, il coraggio e la salute, per non “vedere” nel nostro figlio solo una disgrazia da subire, ma arrivare a vederlo con occhi nuovi come un'oc-

casione speciale di crescita e

solidarietà per tutti noi.

Silvana Zamperoni

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2004

tanto da poter accogliere una bambina che di amore ne ha bisogno... “di più”. Benedetta è un profeta. Chiama al cambiamento.

La malattia, la debolezza, è una condizione oscurata oggi.

È una dimensione debole della vita e forse si tende a percepirla come una mortificazione inaccettabile. Giorno dopo giorno, con una rapidità quasi brutale, si diventa solo quel male, si diventa solo quelle cure. Si capisce, a poco a poco, che cosa significa malattia e lo si capisce attraversando giornate di dolore, di paura, di solitudine.

Il Signore ci ha aiutato puntualmente a scegliere di vivere e non di sopravvivere e basta. Benedetta non è mai sola: accanto ha tutte le persone che le vogliono bene. Anche quando non poteva vederle e non poteva sentirle, ha comunicato con il cuore. Tutte queste persone le danno la forza. Benedetta lotta anche per loro. Ecco

che proprio lei, così piccola, è capace di vivere e di far vivere una delle esperienze più serie della vita, che appartiene a tutti, e che non dovrebbe mai trovarci troppo impreparati.

Ora è il “tempo della riabilitazione”, ci dicono i medici. È senza dubbio un fatto fisico che passa attraverso la paziente e spesso limitata ricostruzione di quella architettura mirabile e delicata che è il corpo umano. Ma la riabilitazione è soprattutto un “fatto dell’anima”, della speranza, della preziosità di ogni vita e di ogni persona che è sempre Sede della presenza del Signore. Per questo tutti abbiamo bisogno di essere riabilitati. Sicuramente più di Benedetta.

Un abbraccio, sicuro di non dover ricordare di pregare per Benedetta. Del resto basta dire l’Ave Maria per nominarla... “Tu sei Benedetta fra le donne...”

Giampaolo

Con la Legge n. 68/1999

parliamo di lavoro

Si lavora davvero!

Un ottimo quaderno per il collocamento mirato

Parliamo di lavoro... e più precisa- mente di un nuovo quaderno dell’AIPD (Associazione italiana persone down) dedi- cato all'inserimento lavorativo delle perso- ne con sindrome di Down che offre in mo- do chiaro e sintetico una serie di intorma- zioni utili per aziende, lavoratori e famiglie.

Le Autrici, Alessandra Buzzelli e Anna Contardi, ricordano per prima cosa che la Legge 12 marzo 1999, n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” ha finalmen- te recepito il principio del “collocamento

IDRUME DOWN NU

Periodico quadrimestrale - anno XXIII - n. 1 gennoio/aprile 2004 - Spedizione in A.P. - 45%, Art. 2, Commo 20/b, Legge 662/96, Filiale di Bergamo - ISSN:1122-147X

L’inserimento lavorativo delle persone con sindrome di Down

Informazioni utili per aziende, lavoratori e famiglie

a cura di Alessandra Buzzelli Anna Contardi

mirato” che prevede incentivi per l’acco- glienza dei disabili considerati più gravi nelle strutture produttive e una rete di ser- vizi a sostegno dei percorsi di inserimento. (AI contrario la Legge 482/68 prevedeva solo il collocamento obbligatorio e le Aziende spesso disattendevano il loro obbligo per paura delle difficoltà dell’inseri- mento e per timore che queste persone non potessero essere produttive).

Le Autrici raccontano alcuni inseri- menti lavorativi di ragazzi down avvenute appunto, secondo le nuove normative di Legge. L'Associazione ha lavorato su tre fronti: tra le famiglie dei disabili, all’inter- no dell’associazione, nelle aziende. Ba- sandosi sulla sua pluriennale esperienza, ha individuato e proposto nuovi orari di lavoro, ha offerto il supporto di un esper- to sia all'Azienda che al lavoratore nei primi mesi dell’inserimento, ha seleziona to potenziali candidati ogni qualvolta si rendeva disponibile un posto di lavoro.

Nel testo seguono le testimonianze di giovani lavoratori e una pagina dedicata ai “Consigli utili per i colleghi di la- voro” che riportiamo integralmente più avanti. Nelle ultime pagine troviamo il te- sto della Legge, le indicazioni sul per- corso formativo che il ragazzo deve

compiere dopo la scuola dell’obbligo e, importantissime, le risposte alle do- mande più frequenti dei genitori a proposito delle provvidenze economiche, delle pensioni di inabilità: sono compati- bili con l’attività lavorativa del giovane?

A questo proposito riportiamo la let- tera comparsa sul settimanale Famiglia Cristiana del 23 giugno 2004.

“Sono il papà di un ragazzo down di 24 anni, e voglio esprimere la mia amarezza per alcune leggi che riguarda- no gli handicappati. Noi abbiamo fatto ogni sforzo per dare a nostro figlio l’au- tonomia necessaria a permettergli di la- vorare “partime”, nella direzione indi- cata dalla legge 104/92. Oggi con il suo lavoro guadagna circa 410 euro al me- se, perdendo così, a causa della legge 289/02, ogni diritto ad agevolazioni (ad esempio per l’acquisto di un mezzo di trasporto). È chiaro che la nuova nor-

mativa non incentiva i genitori ad ado- perarsi per l'autonomia del figlio che, lasciato a se stesso, può chiedere l’asse- gno di accompagnamento (equivalente allo stipendio del mio ragazzo) e tutte le agevolazioni fiscali. Evviva l’assisten- zialismo, quindi?. Lettera firmata.

A questi e ad altri interrogativi trove- remo risposta in questo piccolo libro, utile coraggioso e incoraggiante per i genitori e i ragazzi che vogliono affronta- re il mondo del lavoro in modo dignitoso e produttivo.

Ci sembra giusto rilevare che anche se i lavoratori di cui si parla nel quaderno dell’AIPD sono, naturalmente, tutti porta- tori di sindrome down, indicazioni e con- sigli valgono per tutti i ragazzi generica- mente cerebrolesi, deboli mentali o auti- stici ad alta funzionalità in grado di essere avviati ad una attività lavorativa.

Tea Cabras

ag ____________°_________ CONSIGLI UTILI PER I COLLEGHI DI LAVORO

Utilizzare con lui un linguaggio sempli- ce e comprensibile, sia nella conversazio- ne sia nelle richieste. Spesso la mancata risposta di una persona con disabilità intel- lettiva ad una nostra richiesta può essere frutto di non comprensione e non di inca- pacità o mancanza di volontà. A volte usiamo parole che sottintendono significati impliciti che non sempre sono tali. Infatti può capitare di dare un comando vago come ad esempio “Pulisci in fretta il loca-

le!”, aspettandoci che vengano compresi tutti i messaggi sottintesi (pulire i tavoli, pulire il pavimento, fare il lavoro veloce- mente ma contemporaneamente farlo bene, ecc.). Altre volte può capitare che facciamo in una sola frase 2 o 3 domande o usiamo in modo retorico toni negativi per indicare un messaggio affermativo (“Non vuoi andare al cinema, vero?” per chiedere “Vuoi andare al cinema?”) Tutto ciò rende più difficile il capirci.

Imparare ad osservare ed a ricono- scere le conquiste del ragazzo attraverso i piccoli cambiamenti e dar loro la giusta importanza. È importante gratificare il ragazzo per le sue conquiste ed analizzare con lui gli insuccessi, anche questo lo aiuta a prendere coscienza delle proprie capacità ed alimenta la voglia di impara- re.

Cercare di creare un rapporto con il ragazzo basato sulla verità: ciò vuol dire dare sempre motivazioni reali e facil- mente comprensibili per le attività pro- poste. Nel rapporto personale vorrà dire prendere il ragazzo sul serio ed aiutarlo a non scollarsi dalla realtà, ma ad affron- tarla. Ad esempio nei confronti del ra- gazzo che dice alla collega “mi sono in- namorato di te, ti voglio sposare” ri- spondere ad esempio “no, non sono innamorata di te, ma possiamo essere amici” e non illuderlo oppure, per fare un altro esempio, non accettare senza obiezioni racconti di esperienze impossi- bili. Comportarsi in genere nel modo più naturale possibile.

CONCORSO

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Cercare di coinvolgere attivamente i ragazzi nella scelta e nella gestione delle attività e anche laddove questo non è possibile, stimolare il ragazzo ad esprime- re il suo parere (“ti piace, non ti piace?”). Durante il lavoro non sostituirsi mai a lui e controllare la propria voglia di essere di aiuto.

Dare la giusta considerazione al suo “essere grande” e riconoscere esplicita- mente tale ruolo, anche come rinforzo verso l'acquisizione di ulteriori autono- mie. Considerarlo per quello che è real- mente, cioè un adulto, evitando compor- tamenti infantilizzanti come ad esempio prenderlo per mano o utilizzare un lin- guaggio non adeguato alla sua età.

Tenere sempre presente che la sua presenza è quella di un lavoratore, sia pure un po’ speciale. Aiutatelo ad espri- mere le sue capacità. Non è solo per passare il tempo.

Fotografa/racconta LO SGUARDO

Poiché il numero precedente di Ombre e Luci è arrivato a

molti con grande ritardo, la scadenza del concorso LO SGUARDO è spostata al 10 novembre

ASPETTIAMO FOTOGRAFIE, SCRITTI, DISEGNI

Regolamento del Concorso sul n. 86 di Ombre e Luci

Nell’'Associazione NONVOILORO ReReCeSC]eeee”eo RR RRDDRBRBD OG!

Storia di Giorgio e del suo lavoro

Paolo, Antonella e Fabio sono carissimi amici di Ponte Lambro che nell’Associazione “NOIVOILORO” sono impegnati nell’accoglienza e in particolare nell’integrazione socio-lavorativa dei ragazzi disabili. In un prossimo numero parleremo dell’attività e di come si va evolvendo questa loro associazione; per ora pubblichiamo la “Vera storia di Giorgio, del suo lavoro e del suo vivere e rapportarsi con il mondo che lo circonda” che Paolo, in collaborazione con Antonella e Fabio, ha scritto e ci ha inviato in qualità di fedele testimonio e amico.

Giorgio ha fatto un percorso di “for- mazione” che l’ha portato a vivere, con ottimismo e accettazione, realtà anche non semplici nel mondo del lavoro.

Ha frequentato la scuola presso l'Isti- tuto “La Nostra Famiglia” di Ponte Lam- bro fino a 15 anni. Dai 15 ai 21 anni ha svolto la sua prima importante, direi deci- siva, esperienza lavorativa nel “Centro di Lavoro guidato” de La Nostra Famiglia di Como dove si assemblava materiale per campeggio.

In quegli anni Giorgio ha dimostrato una forza di carattere ed uno spirito di sacrificio non indifferenti. Era la sua prima esperienza di autonomia con i mezzi pubblici: un viaggio di 30-40 minu- ti sull'autobus di linea, la sua prima prova di resistenza e di fedeltà. Non erano am- messi ritardi dal momento che, come ad ogni altro dipendente, gli sarebbe stato altrimenti decurtato il quarto d'ora o più dallo stipendio.

Questa esperienza, nonostante la sua giovane età, ha richiesto un grande impe-

gno e una forte maturità relazionale, doti che lo accompagnano tuttora.

Trascorsi i limiti di età, a malincuore Giorgio ha lasciato questo ambiente or- mai a lui famigliare, per lavorare, dal set- tembre 1990 al marzo 2002 presso “Ac- quacolor”, una tintoria per tessuti a Erba, cittadina che dista dalla sua abitazione circa 3 km.

Per questo veniva al lavoro ogni gior- no accompagnato in macchina dal papà. La fatica dell'inserimento iniziale è stata notevole: nonostante Giorgio non parlas- se mai delle sue paure, l’ago della bilancia che scendeva e l'occhio attento dei suoi genitori indicavano le difficoltà che stava vivendo. Come al solito la sua tenacia e la fiducia negli altri vennero premiate con un rapporto di amicizia molto profondo, nato proprio in quella sede con un uomo più anziano di lui, un collega di lavoro veramente importante. Si può ben capire la sua sofferenza quando questo “amico” andò in pensione!

Quando la Ditta di Erba, per proble- mi di gestione, trasferì e ridusse il perso- nale, per Giorgio si aprì il baratro della

parliamo di lavoro

disoccupazione. Non è stato facile ma, grazie alle ricerche dei genitori, alla forza di volontà di questo ragazzo e alle pre- ghiere di tanti amici che conoscevano il momento difficile che stava attraversan- do, nell'aprile del 2002 fu ricevuto come un dono dal cielo l'annuncio di un nuovo posto di lavoro partime presso la “Ponte- lambro Industria”, dove lavora tuttora. In questa ditta Giorgio affianca il personale nel punto in cui escono bobine di 25 metri di materiale plastico avvolto nel cel- lophane. Giorgio controlla ed etichetta ogni bobina che viene poi confezionata, pronta per la spedizione.

Anche in questo contesto Giorgio si è inserito con discrezione, pian piano, creando però con il tempo dei rapporti veramente positivi, che lo fanno lavorare giorno dopo giorno fiero ed orgoglioso. Senza dubbio Giorgio, attraverso il lavo- ro, realizza nella “normalità” la percezio- ne di sé, credendo negli altri e sentendosi così pienamente realizzato.

La cosa più bella di Giorgio, che è stata la costante di tutti i suoi rapporti di lavoro, è la capacità-necessità di in- staurare profondi legami di amicizia con i colleghi. Infatti lui lega molto con alcune persone che lo “accettano” vera- mente e quando queste persone, per mo- tivi vari, devono staccarsi da lui la sua prima reazione è quella di “preoccuparsi” e di chiudersi un po’. Succede a tutti, ma sapendo quanto sono fragili e sensibili i nostri ragazzi bisogna poi cercare di inter- venire per sostenerli moralmente.

L’affetto è necessario a Giorgio co- me a tutti e lui lo cerca anche facendo volontariato presso un'associazione del nostro territorio dove fanno assemblag- gio. Anche ha trovato diversi amici e questo “vivere intensamente” lo rende se- reno. Quando parla con me mi racconta di questi suoi rapporti e mi fa capire quando c’è una persona cui lui tiene in particolare. Ultimamente, per esempio, è un po’ triste perché la sua insegnante di aerobica (frequenta una palestra qui a Ponte Lambro) dovrà andarsene: Giorgio le vuole molto bene, è stato bene accet- tato e questo distacco, come accennavo prima, per lui è un piccolo trauma. Ha avuto la sfortuna di veder morire anche qualche amico, come Don Dario, Nicola Tagliabue... amici che hanno lasciato un vuoto. Ma questo fa parte della vita...

Con me da quasi vent'anni fa lezione di chitarra e insieme scriviamo su un gior- nalino locale “IL PICCHIO”: lui è fiera- mente il corrispondente sportivo e, anche se con qualche errore, scrive sullo sport dal 1995. A questo punto dobbiamo dire che Giorgio è veramente impegnato! E per tutto questo io direi “GRAZIE!” anche ai suoi genitori.

Paolo Tardonato

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La “Storia di Giorgio” ci sembra importante perché descrive la realtà di attività lavorative in condizioni diverse e perché ci permette di constatare, una volta di più, una cosa importante.

La serenità e l’applicazione al lavoro di Giorgio e di tanti altri lavoratori come lui gentili e volenterosi, sono strettamente dipendenti dai rapporti che si stabiliscono con i colleghi e i superiori. Le spiegazioni semplici e chiare sono per loro indispensabili, il pietismo e l'eccesso di giocosità sono come sempre dannosi, ma la solidarietà e l'amicizia intelligente e sincera sono come l’aria che respirano. A ben riflettere è la stessa cosa che vale per ciascuno di noi, come ha osservato giustamente Paolo, ma “noi” non lo avvertiamo subito, non lo dimostriamo con la stessa immediatezza e finiamo per attribuire spesso il nostro disagio ad altre cause.

Kim Rossi Stuart Charlotte Rampling Andrea Rossi

con la partecipazione di Pierfrancesco Favino

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Sippeno e scesegpiaira GINUI AMELIO SANDRO PEIRAGUIA SIEFRAO RULLI fotgraiia LUCA GIGAZZI mociazgia SIUONA PAGGI cousica FRANCO PEISAGII scecaziafia GUANCARLO BASIL cassuni PERO 1951 CRISTINA FRAROONI sanza ALESSARIRO ZANBA orazione generale GUANFRARCI BARBAGMI O una greduzione dala tedesco hancese BAI CINEMA ACKAG FILM POLA AAIBORA RL PRODULTARA ARA FILS in cogrctuione con ARRE FRANCE CREA BACAEIA FILM ZOF/ARTE GARERISIRER RUDE BRE ia coaboczione com SCI LAKESRORE EOMEDIAINIENI CARM+ BULGOA FILMIS con di sostegno di FUSIIAGES MLMBRARO BENIN BRANDENSIRG FA

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Le chiavi di casa

Ancora un film sul proble- ma dell'handicap, ancora un ragazzo disabile che diventa attore, ancora una volta mi- lioni di persone chiamate a confrontarsi con la sofferen- za, l’amore ma anche la gioia che un figlio disabile porta con sé.

Un grande regista, Gianni Amelio presenta in questi giomi al Festival cinematogra- fico di Venezia “Le chiavi di casa?”, la storia di un giovane padre - Kim Rossi Stuart che incontra e “scopre” il figlio disabile quindicenne rifiutato al momento della

nascita. La storia è liberamen- te ispirata al notissimo libro di Giuseppe Pontiggia “Nati due volte”; l'Autore, scomparso un anno fa, aveva dato al regista il consenso per il film.

Il film non è ancora uscito nelle sale ma noi lo attendia- mo con fiducia per diverse ragioni. Il regista Amelio ha dato in passato prova di grande sensibilità e compe- tenza raccontando storie dif- ficili basta ricordare il suo film più famoso “Ladri di bambini”; il bellissimo Kim Rossi Stuart, rifiutando il faci- le ruolo di fascinoso, ancora giovanissimo, nel film “Senza Pelle” si è calato nei panni di un ragazzo malato mentale e ci ha fatto commuovere rap- presentandone la difficoltà di vivere, il dolore dell’innamo- ramento non corrisposto. Il ragazzino disabile si chiama Andrea Rossi e basta guarda- re le foto di scena per capire che sarà un grande protago- nista, intenso e mutevole nel- l’espressione, capace di scon- figgere le paure del padre, di conquistarne l’amore.

Ci auguriamo che sia un bel film, soprattutto un film che non tanto o non solo commuova, ma emozioni lo spettatore nel profondo, lo aiuti a capire, a riflettere, a voler bene. I

Ad Andrea in particolare diciamo “grazie” perché con il suo talento ha dato voce e sguardo a tanti nostri amici che, come lui, conoscono la fatica di vivere.

Ro

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“La Chiesa deve ritrovare il richiamo all’amore”

La barca

bianca di J. Larsen

Una barca bianca. Settanta metri di legno e fiori colorati che galleggiano sulla Senna alle porte di Parigi. Chi, all’i- nizio del secolo, l’ha costruita per tra- sportar carbone non immaginava che negli anni Trenta sarebbe diventata un centro di accoglienza sociale, dimora per coloro che, da tutte le parti del mondo, arrivano in terra francese senza il per- messo, senza un letto. Non immaginava che un equipaggio di trenta clandestini

avrebbe trovato a bordo, oltre a una cuc- cetta e al caloroso invito a rimanere, una

cappella di legno profumato, una sala comune per condividere storie o silenzi, pasti e canti, e quattro capitani a cui affi- darsi sicuri.

Uno di loro è padre Joseph Larsen, il motivo per cui tre turiste romane hanno lasciato la Cité per un pomeriggio e si sono spinte fino alla frazione di ConflansSainteHonorine, fino al Je Sers, la casa sull'acqua con la croce blu a prua.

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L'acqua qui non era torbida come sotto Notre Dame, un venticello leggero soffiava rendendo il caldo di fine luglio meno soffocante. Abbiamo visto Joseph venir su dalle scalette ripide che condu- cono alla sua cuccetta, la folta barba bianca gli occhi fermi e dolci. Abbiamo trovato un uomo di Dio e del mondo, felice di raccontare le scoperte grandiose del missionario e i pensieri profondi del cristiano.

Ha parlato con noi per quasi due ore, della sua famiglia e della sua forma- zione, di dono e povertà. “Ogni persona ha un sogno, diventare missionario’ è stato il mio”, ha cominciato e ha raccon- tato della sua infanzia, della chiamata che, ancora bambino, ha sentito la prima volta davanti ai colori della natura, degli studi intensi, prima a Vienna dove è nato, poi in Olanda. Con poche parole e un pizzico di ironia nella voce ha ricorda- to la lunga paziente attesa (fino a 46 anni), la metà della sua vita in cui mentre

Foto F. Bottello

P. Joseph Larsen

sognava la partenza per la missione, serenamente ubbidiva a chi lo voleva ancora studioso e professore di teologia. L’arrivo “finalmente” nelle Filippine ha significato per Joseph l’inizio di un cam- mino nuovo, il raggiungimento di una completezza di vita e di fede. Prima l’ap- plicazione intellettiva, il protagonismo del cervello, della razionalità, del control- lo scientifico; poi l’affidarsi alla voce dei sentimenti, la scoperta dell'amicizia, del- l’amore: “ringrazio il Signore per aver potuto sperimentare entrambe le vie, entrambe le culture”, l'Est e l’Ovest, la fede dei dotti nelle università europee, le braccia tese dei poveri di Manila. Quan- do si sente ringraziare “per la persona che siete, non per quello che avete fatto” il suo cuore si turba, e, sconvolto, si dispone a ricevere ben più di quanto dona. Padre Larsen rimane nelle Filippi- ne per 24 anni e sono tante le storie vis- sute laggiù che oggi, a ottant'anni, dopo 10 trascorsi a Parigi, ha ancora la capa- cità e il desiderio di condividere. Ci mostra dei volti disegnati su cartoncino: sono i ritratti con cui si è mantenuto

dopo aver deciso di lasciare tutto e vivere in una capanna con i poveri. “Sono par- tito per un pellegrinaggio di 23 giorni, solo senza neanche un soldo in tasca e tante paure... Ho scoperto di saper dise- gnare e che solo i poveri sperimentano la vera vicinanza di Dio...”

Nelle Filippine Joseph incontra an- che Fede e Luce e i più poveri tra i pove- ri, coloro ai quali qualche disabilità impe- disce di sopravvivere autonomamente, che devono e sanno mettersi nelle mani

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degli altri: è “un abbandono completo”, questo colpisce e attrae padre Larsen quando ancora non conosce nulla del movimento, quando se ne lascia coinvol- gere ignaro della nuova svolta che avreb- be portato nella sua vita. Nel giro di pochi anni inizia per Fede e Luce a gira- re tutto l’Estremo Oriente da Taiwan ad Hong Kong e nel ‘94, a Varsavia, al pri- mo incontro internazionale a cui prende parte, diviene l'assistente spirituale inter- nazionale. Rientra in Europa. “Sono già al terzo mandato” racconta, quel pizzico di ironia di nuovo nello sguardo, “l’ultima volta però sono stato confermato solo per due anni...in autunno ne compirò 80 ed è giusto che scada”.

Ricordando questi dieci anni di re- sponsabilità e vita parigina, padre Larsen ci parla soprattutto di amicizia, “cura” e ricchezza scoperti ogni giorno in comu- nità. Ci svela ciò di cui “la Chiesa non parla mai”: la cosa più importante della vita di Gesù era l'amicizia, i legami forti con alcune persone, pescatori, poveri e come racconta Matteo, pubblicani, alla cui mensa prendeva parte con gran gusto. Diventare amico di qualcuno signi- fica scoprirne il mistero. Costruire con lui o con lei un’intimità grande e gioiosa. Come la danza. Il mistero può essere

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riluttante a farsi scoprire, nascosto in chi non ha mai pronunciato una parola, visto il blu del cielo, stretto una mano. Questa ricerca avventurosa è alla base di Fede e Luce, è alla base del viaggio che ogni giorno uomini e donne diversi feriti arrabbiati condividono a bordo del Je Sers, l’unica dimora possibile per Joseph, rientrato in Occidente dopo aver fatto sue le capanne e le lotte dei sobbor- ghi di Manila. Qui, sulle tavole mai ferme del bateau, “persone bizzarre, a volte insopportabili iniziano a rivivere grazie all'accoglienza che ricevono, all’apertura che sentono da parte di chi crede che ogni uomo o donna è degno di essere amato. Noi li aiutiamo a ottenere il per- messo di soggiorno e rimangono fin quando non trovano un lavoro e una sistemazione dignitosa. Piano piano, rie- scono ad allontanare la paura della poli- zia, il rancore e l'umiliazione delle regole imposte e si lasciano scoprire, ritrovano il lato umano dei loro caratteri”.

È vero, è ciò che stupisce di più il vi- sitatore e l'ospite: le persone che abitano sul Je Sers sono un vero equipaggio. A tavola si sorridono o discutono o si pren- dono in giro, con grande familiarità, a dispetto delle differenze di lingua, religio-

ne, cultura, cuore. E soprattutto sorrido- no cordiali e spontanei a te che curioso e

affascinato stai indagando sulla loro rotta e a sera tornerai al sicuro sulla terra fer- ma. Un equilibrio armonioso che, dopo aver conosciuto e guardato padre Lar- sen, ci appare naturale prima che incre- dibile, facile oltre che solido.

Per alcuni minuti quest'uomo cari- smatico è anche il nostro capitano, colui che può indicarci una direzione e scio- gliere qualche dubbio. Gli chiediamo una parola che ci aiuti a ritrovare la voglia di

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P. Larsen a

Roma con un amico di Fede e Luce

dirci cristiane e riconoscere il nostro prossimo, un messaggio per quanti vedo- no nella Chiesa una realtà lontana e macchinosa. La sua espressione si fa seria. “la Chiesa ha perso oggi il richia- mo all’amore...fa leva sulla testa, non sul cuore.” I giovani fuggono la severità del- l'istituzione e la sterile razionalità del catechismo, “è un grave problema.” Rimane in silenzio per alcuni secondi. Poi ci guarda e accenna un nuovo sorri- so: “Io vorrei, ho la speranza che bene e amore si ritrovino, non tanto nella Chie- sa, quanto nei Cristiani.” In Olanda, tra i protestanti numerosi gruppi di giovani già si riuniscono nel nome dell’accoglien- za e dell'amore e in tutto il mondo nascono nuovi movimenti e nuove con- gregazioni che non annunciano verità ma amore. Il Papa ne ha ospitato a Roma i rappresentanti tre anni fa, ne ha riconosciuto l’importanza vitale per il futuro del Cristianesimo. Dunque questa è la strada su cui incamminarsi: “Amate! Amate gli amici, i poveri, i genitori, ama- te gli animali, amate i piccoli e così siate discepole di Gesù”.

Silvia Gusmano (Interprete: Valentina Dorato)

“Invitati alla festa”

A Besancon in Francia, l’Associazione “Invitati alla Festa” ha creato un luogo che è insieme di vita, di attività e di sostegno per malati psichiatrici.

“Buongiorno, posso avere un bic- chiere di Schweppes?” domanda Benoit con tono gentile, avvicinandosi al banco del bar. Gerard, gilet grigio e occhiali, prende una bottiglia dal frigorifero, con il sottofondo di una musica della radio. Poi Benoit va a sedersi ad uno dei piccoli tavoli del locale dove sono seduti Arturo, Cristiano e gli altri, davanti a un succo di frutta o ad un caffé, mai all'alcool. Ci si scambia qualche parola, qualche sorriso di amicizia. Questo non è un locale come un altro ma è il bar degli “Invitati alla festa”, un luogo sperimentale di acco- glienza, al centro di Besancon. Gerard, come Arturo e Benoit, ha un handicap psichico. Ha dovuto lasciare il lavoro da qualche anno in seguito ad una grave depressione. Da un mese viene qui tutti i martedì pomeriggio e infila la divisa da

barman, tranquillamente. “Questo mi permette di incontrare